Scoperta interazione fra due geni del Parkinson e con la sinucleina

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 17 gennaio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La malattia di Parkinson, la seconda per frequenza fra le patologie neurodegenerative dell’adulto, è dovuta ad un grave processo di degenerazione neuronica la cui prevalenza aumenta con l’età e si esprime clinicamente quando più del 70% della dopamina striatale è perduta[1], principalmente come disturbo della motricità (paralisi agitante con tremore a riposo di 4-6 Hz, bradicinesia, instabilità posturale, rigidità cerea dei movimenti articolari, ecc.), ma investe altri aspetti della funzione nervosa che sono influenzati direttamente o indirettamente dalla perdita dei neuroni dopaminegici nigrostriatali, all’origine della sintomatologia. Il quadro istopatologico, oltre la perdita delle cellule nervose segnalanti mediante dopamina, è caratterizzato dalla presenza di inclusioni citoplasmatiche eosinofile consistenti di aggregati di proteine insolubili (corpi di Lewy e neuriti di Lewy) nei neuroni degeneranti della parte compatta della sostanza nera[2].

Anche se il contributo dei fattori genetici nella prevalenza complessiva è minore che nella malattia di Alzheimer, l’intensa attività di ricerca svolta su questa patologia ha consentito di definire con precisione le cause genetiche di alcune rare forme familiari, e di ottenere numerose indicazioni su varianti geniche associate con un elevato rischio di sviluppare la malattia[3]. Nel tempo è stata studiata la possibilità di interazioni funzionali fra geni che predispongono all’espressione patologica. In un caso, ossia quello costituito dai geni parkin e PINK1, l’interazione è stata rilevata e dimostrata, ma negli altri casi la reale esistenza di interazioni non è stata ancora provata sperimentalmente.

 Nripesh Dhungel e Simona Eleuteri[4], con numerosi colleghi hanno accertato l’inattesa interazione di due geni legati alla malattia di Parkinson: VPS35 e EIF4G1, e poi la convergenza delle loro azioni sull’α-sinucleina, una proteina che svolge un ruolo chiave nei processi patologici di questa grave malattia neurodegenerativa.

 (Dhungel N., Eleuteri S., et al. Parkinson’s Disease Genes VPS35 and EIF4G1 Interact Genetically and Converge on α-Synuclein. Neuron – Epub ahead of print DOI: http: //dx.doi.org/10.1016/j.neuron.2014.11.027 (online, Dec. 18, 2014), 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Department of Genetics, Stanford University School of Medicine, Stanford, California (USA); Department of Neurosciences, School of Medicine, University of California at San Diego, La Jolla, California (USA); Department of Pathology, School of Medicine, University of California at San Diego, La Jolla, California (USA); Howard Hughes Medical Institute, Stanford, California (USA); Department of Biology, Stanford University, Stanford, California (USA); Laboratory of Molecular and Chemical Biology of Neurodegeneration, Brain Mind Institute, Station 19, School of Life Science, Lausanne (Svizzera).

L’ereditabilità della malattia di Parkinson è più limitata rispetto a quella della malattia di Alzheimer, ma ha in comune con la forma più grave di demenza degenerativa una dicotomia fra forme rare ad eziologia monogenica e forme comuni geneticamente complesse e, probabilmente, causate da un intergioco fra molteplici fattori ambientali e genetici. In realtà, queste due tipologie eziologiche, con forme rare, familiari ad eredità mendeliana e forme ad eziologia non bene definita ed influenzata da fattori genetici non mendeliani, sono comuni a tutte le maggiori patologie neurodegenerative e sono oggetto di approfondimento in una specifica discussione che sarà pubblicata la prossima settimana. Intanto, per introdurre il lavoro del gruppo di Simona Eleuteri, riportiamo alcuni dati che possono aiutare ad inquadrare il valore dei risultati ottenuti.

Forme autosomico-dominanti della malattia di Parkinson. La prima mutazione identificata quale causa della malattia di Parkinson (1997) è localizzata nel gene che codifica l’α-sinucleina, SNCA, la proteina che, in forma di aggregato, è il maggior costituente delle inclusioni citoplasmatiche eosinofile (Lewy bodies) che costituiscono il contrassegno neuropatologico principale della malattia. L’α-sinucleina è una piccola proteina presinaptica che modula il rilascio di neurotrasmettitore e il ricambio delle vescicole.

La famiglia delle sinucleine umane è costituita da tre membri: α-sinucleina, β-sinucleina e γ-sinucleina; proteine che vanno dai 127 ai 140 aminoacidi di lunghezza e sono per il 55-62% identiche nella sequenza, con una organizzazione dei domini molecolari molto simile. Sono codificate da tre geni localizzati sul cromosoma 4q23 (SNCA), 5q35 (SNCB), 10q21 (SNCC). In passato si riteneva che le sinucleine fossero caratterizzate da una struttura poco ordinata. Recentemente si è rilevato che l’alfa-sinucleina è un omotetramero con una predominante conformazione ad alfa-elica. Nel 1997, come abbiamo già ricordato, fu individuata una mutazione missense (A53T) quale causa di una forma di Parkinson con patologia “a corpi di Lewy”; in seguito, furono identificate altre due mutazioni (A30P ed E46K) in famiglie colpite da Parkinson con corpi di Lewy. Fin da allora fu evidenziata l’immunoreattività per l’alfa-sinucleina dei corpi di Lewy e dei neuriti di Lewy.

Si è ipotizzato che queste mutazioni accrescano la tendenza della proteina a formare oligomeri, fibrille e, infine, aggregati fibrillari, anche se l’esatto meccanismo della tossicità dell’α-sinucleina non è ancora stato stabilito con certezza.

Mutazioni autosomiche dominanti in un altro gene, LRRK2, sono attualmente considerate le più comuni cause di malattia di Parkinson monogenica. Anche se ne sono state descritte oltre 40, solo poche si considerano cause certe di malattia sulla base di coerenti evidenze di co-segregazione e dati funzionali.

Forme autosomico-recessive della malattia di Parkinson. Sono state descritte mutazioni in tre geni in grado di causare una forma della malattia clinicamente indistinguibile dal tipico Parkinson della terza età, ma insorgente in un’epoca notevolmente più precoce. A differenza delle forme dominanti, quelle recessive sembrano essere dovute ad una perdita di funzione che verosimilmente porta ad una diminuita protezione dei neuroni dopaminergici da eventi tossici. Il gene più frequentemente mutato nelle forme recessive è PARK2 (sul cromosoma 6q25) che codifica la parkina, una ubiquitina-ligasi implicata nell’ubiquitinazione di proteine destinate alla degradazione da parte del sistema proteasomico.

Gli altri due geni interessati dalle mutazioni che causano le forme recessive sono PINK1 e PARK7, ma tali mutazioni si osservano molto più di rado rispetto a quelle di PARK2.

Infine, si ricorda che numerosi studi sono stati condotti, e molti sono attualmente in corso, sui geni candidati o mediante lo screening dell’intero genoma (GWAS). Tali ricerche, oltre ad aver accertato che comuni varianti nei geni SNCA e LRRK2 aumentano anche il rischio per le forme idiopatiche non-mendeliane della malattia di Parkinson, hanno fornito una notevole mole di dati di rilievo. Per un aggiornamento su aspetti di questi studi si può consultare la banca-dati PDGene database (www.pdgene.org), cui fanno capo genetisti quali Rudolph Tanzi, Lars Bertram e Christina M. Lill.

Torniamo, ora, alle interazioni scoperte di recente.

Dhungel, la Eleuteri e i loro colleghi hanno fornito evidenze che la iperespressione di EIF4G1 causa difetti associati con il misfolding proteico. L’espressione di una sortilina si è rivelata in grado di determinare un recupero dei difetti indotti dalla iperespressione di EIF4G1 a valle di VPS35, suggerendo un potenziale ruolo delle sortiline nella patologia molecolare della sindrome descritta per la prima volta da James Parkinson.

La sperimentazione ha poi chiaramente evidenziato interazioni fra VPS35, EIF4G1 ed α-sinucleina, una proteina che, come abbiamo visto, ha un ruolo fondamentale nello sviluppo dei processi patologici. Gli autori hanno allora condotto studi più estesi in vari organismi, dai lieviti ai vermi, fino ad un modello sperimentale animale della malattia di Parkinson umana.

Gli esperimenti hanno confermato che la presenza di queste interazioni è, in termini evoluzionistici, conservata nelle specie indagate, e risulta evidente nei neuroni e nei topi transgenici del modello sperimentale.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la collaborazione, e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-17 gennaio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Corrispondente alla perdita all’incirca del 50% dei neuroni della pars compacta della substantia nigra di Soemmering  del mesencefalo.

[2] Serie di studi autoptici hanno dimostrato che corpi di Lewy e neuriti di Lewy possono ritrovarsi in altre aree del sistema nervoso come il bulbo olfattivo, il tronco encefalico e perfino il sistema nervoso del tratto gastrointestinale. La degenerazione extra-striatale potrebbe spiegare sintomi quali la perdita dell’olfatto (anosmia), la depressione e i disturbi del sonno che precedono spesso di anni i sintomi motori.

[3] In numerose recensioni di studi su questo argomento sono state fornite nozioni al riguardo, così che una ricerca nelle nostre “NOTE E NOTIZIE” potrebbe fornire un buon materiale iniziale per documentarsi sulla genetica del Parkinson.

[4] Ad entrambi spetta la qualifica di “primo autore”, come specificato in nota sulla rivista Neuron.